La quotidianità del male

In questi giorni circolava voce che un convoglio ferroviario con un carico di carri armati vagasse per la penisola italiana; vari avvistamenti: Treviso, Senigallia, Lamezia Terme, Savona, Roma..

Oh, che è? Siamo in guerra? NO, niente panico! È solo un unico convoglio per trasportare carri armati da imbarcare verso la base di Capo Teulada, dove tutti gli anni da sessant’anni dal primo di ottobre a fine giugno si svolgono esercitazioni militari della NATO e dei suoi amici.

Dopo i fatti di Parigi uno pensa al peggio, ma state tranquilli: è semplice routine.

Da anni siamo in guerra. Attraverso i mezzi di informazione abbiamo creduto di vederla a distanza, accecati dal carico di responsabilità e dal senso di colpa tanto da non riconoscere che da decenni la subiamo convivendo con la sua ingombrante presenza nei nostri luoghi e nelle nostre menti.

Il 6 novembre si è conclusa la Trident Juncture 2015, in Sardegna si torna alla quotidianità.

Nei poligoni si continua a bombardare come da calendario, i mezzi corazzati si spostano lungo le strade e occupano i porti civili, i cacciatorpedinieri solcano i mari, aerei dall’ignota propulsione sfrecciano nei cieli. Le fabbriche di bombe continuano a produrre e sfacciatamente imbarcano i loro ordigni tra i bagagli dei viaggiatori; le Università e centri di ricerca si prostrano per accaparrarsi progetti asserviti all’industria bellica. Le Prefetture moltiplicano gli “obiettivi sensibili”, invadono e occupano le città con gruppi speciali, compresi esseri incappucciati armati di ogni sorta d’ordigno. Quest’ultima potrebbe apparire una novità, ma a ben pensarci anche questo l’abbiamo già visto: vent’anni fa era l’anonima sequestri oggi il cosiddetto terrorismo islamico.

Il controllo, la repressione, l’oppressione, il costante stato di emergenza, la chiusura delle frontiere, la militarizzazione degli spazi urbani, la limitazione delle libertà personali sono alcune delle forme con cui si manifesta intorno a noi.

Questa è la quotidianità della guerra a cui dobbiamo ribellarci: la manifestazione del dissenso, se pur necessaria, non è sufficiente. Molti sono gli ingranaggi della macchina bellica e per fermarla dobbiamo cominciare a conoscerne il funzionamento e incepparli.

La rete NoBasi NeQui NeAltrove nell’inserirsi nel percorso antimilitarista intrapreso lo scorso autunno in Sardegna, si è posta in quest’ottica. Le pratiche proposte con continuità nell’ultimo anno (iniziative di controinformazione, rallentamenti dei convogli, ripetute invasioni dei poligoni e blocco delle esercitazioni – tra cui, ultima, la Trident Juncture) hanno raggiunto gli importanti risultati di minare le ‘condizioni per operare con la serenità necessaria’ rimpiante dai vertici militari, e parallelamente di creare consenso e partecipazione, rafforzando un movimento che cresce ed è sempre più solido.

Pratichiamo e diffondiamo l’azione diretta contro l’occupazione militare: rendiamo inospitale il nostro territorio alle attività militari e all’economia di guerra.

NON FACCIAMOLI STARE TRANQUILLI

rete No Basi Né Qui Né Altrove

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