Un’antologia

Qui sotto un’antologia, una “raccolta di fiori” che riunisce pensieri e contributi sul corteo del 3 novembre contro la Trident Juncture.
Grazie a tutte le persone che ci hanno voluto raccontare la loro esperienza.

Quando i limiti vengono valicati.

Le reti dei poligoni sardi corrono per parecchi chilometri, solitamente nei posti più suggestivi della nostra terra. Ma queste reti non sono solide. Tantomeno invalicabili.
Gli assassini che si esercitano e i complici che li difendono, come più volte si è visto, non sono in grado di cucire le toppe necessarie ad impedire l’attacco di questi vastissimi territori.
La giornata del 3 Novembre ha raggiunto l’obiettivo di bloccare l’enorme esercitazione NATO Trident Juncture, in uno dei giorni di fuoco maggiori. Questo grazie alla determinazione di un corteo che, resistendo alle cariche della polizia da una parte, ha consentito dall’altra l’ingresso all’interno del poligono, riuscendo così a zittire i boati assordanti delle esplosioni.
Dopo un anno fatto di assemblee, sopraluoghi, tentativi di disturbo riusciti e non, si è arrivati ad una giornata di mobilitazione forse davvero di portata storica, che non solo ha interrotto un’importantissima giornata di bombardamenti della più grande alleanza internazionale ma soprattutto ha contribuito a innescare nelle menti dei più l’idea che le basi militari non sono inattaccabili, che i militari non sono degli invincibili eroi, che fermare i maledetti giochi di guerra è possibile. E tutto questo senza dover chiedere il permesso a nessuno.
Gli sguardi determinati, i passi di centinaia di persone che si ostinavano a percorre strade infinite senza sentire stanchezza, i cori a squarciagola che scandivano tempo ed emozioni sono stati gli strumenti che quel giorno hanno liberato Porto Pino dalla guerra, dalla NATO e dalle autorità di stato che con la loro arroganza pensavano di vietare alle persone il solo avvicinamento al paese, creando un clima repressivo pesante e facendo apparire noi come criminali e invasori indesiderati del Comune di Sant’Anna Arresi, perché potenzialmente efficaci.
Potenzialità che sempre di più si è rivelata, di fronte alle facce incredule di sbirri e finti pastori, una certezza.
Siamo noi ad aver bloccato la Trident, siamo noi ad averla bloccata più volte. Nonostante tutto, nonostante i fogli di via, nonostante i controlli e le minacce, nonostante i divieti del questore. Nonostante la paura di non riuscire ad arrivare fino alle reti. Ma quella paura si è dissolta nel momento in cui una strada sterrata, quella giusta, si è presentata libera ai nostri occhi. In quel momento il tempo si è fermato nella nebbia di un lacrimogeno, per poi riprendere il suo corso quando, tra abbracci, applausi e sorrisi, le bombe hanno smesso di tuonare.
Forse la questura di Cagliari pensava che spostando a Giba dodici persone, che hanno in ogni caso contribuito decisivamente alla riuscita di quella giornata, si togliesse il problema di dover gestire un corteo composto da “soggetti pericolosi”.
Ma il 3 Novembre siamo stati tutti dei soggetti pericolosi, preoccupanti ed efficaci.
Le reti dei poligoni sardi corrono per parecchi chilometri, sì, ma noi corriamo più veloci.
Con la speranza di risultare sempre più fastidiosi ai fautori della guerra.

Due sorelle che c’erano

Il mio 3 novembre

Una giornata infinita, con poche ore di sonno alle spalle. Scelgo di partire con la macchina di “Risate e combattimento”. Si parte molto prima degli altri, non mi ricordo bene perché. Tappa bar, un bar che porta bene, perché lo rivedrò di sera, con una ragazza che dirà “Siete stati bravi, vi ho visto in tv. Anch’io una volta da bambina ho bloccato le esercitazioni, ma non lo sapevo di essere dentro la base, ero in spiaggia”.

Primo posto di blocco, non ci ferma, il secondo, dei carabinieri, non ci ferma, il terzo della polizia ci ferma. Controllo zaini, macchina e documenti. Ovviamente la macchina di “Risate e combattimento” è stata tamponata e ha il cofano che non si apre. In qualche modo viene perquisita. Anche il quarto check point ci ferma, dopo duecento metri e ci riperquisisce.
Arriviamo al punto di concentramento, inizia ad esserci gente, ne arriva sempre di più. Appendiamo lo striscione “Nessuna pace per chi vive di guerra”. Sembra brutto e bruciacchiato, ma in tanti lo riconoscono. Anche qualcuna che da quello striscione si era dissociata. Poi si dev’essere riassociata, ma non l’ha detto. Comunque c’era. C’erano anche tutte e tutti quelli che avevano dato solidarietà contro i fogli di via. Aspettiamo gli autobus da Cagliari. Arriva la notizia che sono stati fermati a un posto di blocco e non li fanno ripartire se non si fanno identificare tutti. Viene fatta velocemente un’assemblea sul piazzale. Si decide che chi ha avuto un foglio di via e sta rischiando una denuncia per poter essere con noi, deve poterci essere. Si parte in corteo, in testa lo striscione bruciacchiato. Diverse centinaia di persone, camminano per circa sette chilometri per andare a prendere “i ragazzi”. Per due volte la polizia cerca di fermare il corteo, ogni volta si prosegue. Diverse persone guardano verso il cielo, aspettano di vedere un razzo di segnalazione rosso, dentro il poligono. Infine lo vedono, qualcuno c’è riuscito. Sono le 12,30 e la Nato smette di sparare per due ore, fino alle 14,30.
Intanto, ma lo scopriremo dopo, i 12 con il foglio di via vengono portati in caserma. Dagli autobus scendono “i ragazzi”, quelli senza foglio di via, ma con lo striscione “Contro le basi, azione diretta” e partono in corteo verso di noi. Qualcuno dice “Sembra S’Incontru, mancano solo i petardi” e gli striscioni si toccano. Si uniscono i cortei e si riparte, si torna indietro tutti insieme verso la base. Per tre volte la polizia in assetto anti sommossa cerca di fermarci. Molte donne tagliano per i campi e aggirano i blocchi. Perché stare su una stupida striscia d’asfalto? Più avanti il corteo si ferma. C’è una stradina laterale che potrebbe portare alle reti. Qualcuno lo dice al megafono e sintetizza le proposte. “ Se continuiamo dritti si torna al parcheggio, da qui si potrebbe arrivare alle reti e provare a interrompere questa esercitazione.
Questa esercitazione è la Trident, la più grande esercitazione della Nato dai tempi de Marconi.
Diverse compagne , molte giovanissime (qualcuna meno) e qualche compagno, iniziano a correre lungo il sentiero, nella laguna, tra i fenicotteri. Sempre più vicini i rumori della guerra, è artiglieria pesante. Non c’è più tempo per avere paura, bisogna correre. Si arriva alle reti, si entra. Vedo diverse camionette militari, i militari dicono alla radio “Cazzo sono dentro!Sono dentro il poligono!”.
Il primo slogan è “No war, no border, no nations, stop deportation”. Una signora “Perché non lo dite in sardo? E propone “Funti tottu puresciusu*”
Scendono i soldati, sono della brigata Sassari, quella che sta per essere spedita in Libia, i valorosi che si fregiano di un inno di merda, si coprono il volto. Un compagno viene rovesciato a terra e fotografato, una compagna viene strattonata, la madre s’incazza e urla al soldato che chiunque tocchi sua figlia dovrà vedersela con lei. Il soldato è armato e a volto coperto. Un altro soldato dice “Siete state fortunate a trovare me, un altro più nervoso vi avrebbe sparato. Dentro anche una compagna con due figlie giovanissime. “Signora, lei ha rovinato la vita delle sue figlie”. Non ho sentito la risposta, ma madre e figlie avevano un’azza* per nulla intimorita. Arrivano i fotografi e l’atteggiamento cambia. Due ragazzine, dentro il poligono, iniziano a fotografare a loro volta i soldati. Erano bellissime. Un uomo dall’esterno delle reti dice “Non mi va bene che ci siano quasi tutte pivelle* dentro, forza due dei nostri!” Da dentro e fuori parte il coro “Tutte pivelle!” Il poligono viene violato in più punti, solo alcune persone vengono identificate .Continua ad arrivare gente, girano un paio di tronchesi, ma ci si arrangia come si può, con assi di legno e qualunque oggetto trovato sul terreno. Arriva la celere e si schiera, la prima linea regge, almeno un po’, ma è solo un corpo a corpo, anzi corpo a scudo. Veniamo a sapere che ci sono stati scontri furibondi alle nostre spalle e che ciò che abbiamo fatto è stato possibile anche grazie a chi ha resistito a quegli scontri. Qualche testa bozzata, ecco a cosa servono i caschi.
Finiscono i rumori della guerra. L’esercitazione è stata di nuovo sospesa, sono le 15. Fuori dalle reti ci si abbraccia, qualcuno piange, qualcuna giura di non aver versato una lacrima. Abbiamo vinto. Abbiamo vinto. Abbiamo fermato la Nato. Ma non ce ne andiamo finchè non viene liberato chi è stato bloccato dentro.
Rientriamo piano attraverso la laguna, ancora più bella in controluce, raggiungiamo il resto del corteo che si è sopportato le cariche. Ci mettiamo ai margini del sentiero, la celere sfila tra noi a testa bassa, i cori: “Odio la Nato” e “Boom boom boom, le reti vanno giù, entriamo nelle basi così non sparan più”.

La sera festeggiamo al terrapieno di Cagliari e spariamo i petardi che c’erano mancati durante il giorno. Almeno oggi non si rinuncia a niente. Neppure domani, dai.

Una che c’era
(ma quanti chilometri abbiamo fatto?Venti mi dicono)

Punti di svolta

Eccola, la Trident Juncture.
L’esercitazione militare Nato, in cui si preparano distruzione e morte di oggi e di domani, ma anche la gestione futura di ricostruzione del capitale, in allegra combriccola con Croce rossa e associazioni umanitarie non governative. L’esercitazione che permette di concludere affari d’oro alle industrie belliche che vendono agli stati dell’alleanza sempre più sofisticati strumenti di morte.
Eccola ora anche ai nostri cinque sensi, con le esplosioni in lontananza, i droni, gli elicotteri che si guastano in volo, il rombo degli aerei, le navi da guerra e i sottomarini parcheggiati nel porto di Cagliari.
Eccola nelle strade, nell’emergere di un apparato di controllo imponente, invadente.
Repressioni preventive, dalle richieste di sorveglianza speciale ai fogli di via, dai minacciosi proclami mediatici a questi imponenti check point, alle perquisizioni, alle minacce che ci accompagnano lungo la strada.
Però. Però si va, e siamo sempre di più. E il nostro modo di andare possiede delle qualità decisamente differenti da quelle dell’enorme nemico che combattiamo.
Qualità che chi passa la vita a prendere e a dare ordini non potrà mai capire, e che li rende, proprio per questo, vulnerabili.
La somma di uno più uno fa sempre più di due, se si parla di individui. L’essere insieme tante teste pensanti e determinate fa si che il risultato raggiunto sia incredibilmente più grande delle nostre più belle speranza. Perché c’è lavoro, passione, impegno, di molti ma mai troppi, dietro a quello che si manifesta, ma c’è anche il ritrovarsi su un piano orizzontale, in cui ognuno, con consapevolezza e determinazione, c’è e non segue, agisce e non imita, pensa e non ripete.
E poi chissà…
Sarà che devono essersi rilassati un po’ quando han portato via “quelli di Giba”, sicuri di essere a metà dell’opera, ma non sapevano che in realtà tutti loro sono venuti con noi, fin dentro le reti.
Sarà che son rimasti confusi da questa forma liquida che li attraversava, negandogli anche la sola testimonianza di esistenza. Come non ci fossero, come quel blindato di traverso, sulla strada per porto Pino, che si è smaterializzato nella sua minaccia assieme a tutti i loschi figuri schierati davanti.
Sarà che senza un capo non ne vengono a capo…
Sarà che di tutte queste svolte qualcuno deve averne percorsa una prima, che c’è chi ha visto partire un razzo di segnalazione già a mezzogiorno.
Sarà che non gli piace la campagna, perché quella stradina, e una voce “Di qua si passa!”, ma si potrà, ma chi lo sa, se non si prova… la strada c’è, ma saranno davvero così, diciamo, sprovveduti?
E via, passo dopo passo, la laguna bellissima, le nuvole della polvere delle esplosioni in fondo.
È lunga questa strada… chissà se ci porterà fortuna! Poi una voce, stanno caricando! Dove, da qui non si vede più, saran chilometri indietro… ma se caricano, vuoi vedere che ci arriviamo davvero…
bene, ora metto anche le vostre ali, compagni, ai miei piedi, e via, le reti sempre più vicine, un passaggio, un ponticello, non ci posso credere, cento metri le reti di fronte, dentro solo due mezzi dell’esercito e un carabiniere in motoretta, non è il momento di ridere, i piedi non toccano più terra e
come antilopi siamo solo slancio e tensione, “un buco, di là!” e uno e due e tre quattro, vai sorelle ritrovate… cinque sei sette otto, vai amici sconosciuti… ancora… STOP EXERCITATION! Terra libera tutti.. non ci posso credere… STOP EXERCITATION! Sparano ancora, per diversi minuti… Poi…
… non sparano più.
Abbiamo fermato la Trident!
Abbiamo interrotto la più grande esercitazione dell’alleanza atlantica degli ultimi decenni, e lo abbiamo fatto, in questi tempi difficili, solo con la forza dei nostri corpi e delle nostre idee.
In quel silenzio esplodono le grida di quel noi ormai così espanso, da chi sta fuori e da chi sta dentro quelle reti, ormai inutili, da chi sta attraversando la laguna, da chi ha resistito alle cariche, dai compagni fermi a Giba, da chi c’è ma non si vede.
Vi abbiamo fregato. Ce l’abbiamo fatta.
Mi giro, negli occhi di chi incontro una gioia e una soddisfazione che nessuno ci toglierà mai più.
Odio la guerra, odio la nato. Amore a tutti voi.

Una delle tante antilopi

Il giorno in cui non distruggemmo nulla

Il giorno in cui non diStruggemmo nulla è iniziato all’alba. Due pattuglie ci aspettano sotto casa per notificare i fogli di via che evidentemente avevano urgenza di aggiungere al loro album. Belle foto, le nostre, e tante parole a rievocare un passato ed evidenziare un presente di attivisti tramite le loro denunce.
Poi le risate, il pullman con tanti cori di gioia e presa bene. Risate, battute, prese in giro. Poi il blocco, al limitare del territorio di Sant’anna Arresi. Tanti celerini, finanzieri, digossini presi di peso dai peggiori film polizieschi degli anni ’70.
La trattativa è lunga, ma con un passaggio agevolato dei pullman 12 di noi si passeranno la giornata a Giba, alla caserma dei carabinieri ad aggiungere denunce per la violazione di quei famosi,odiati e discussi fogli di via. Dal bus in cui ci caricano vediamo un corteo spontaneo che parte ed un fumogeno che si accende.
Il giorno in cui non distruggemmo nulla siamo andati verso un paese semi-sconosciuto con una scorta di celerini che almeno non erano al corteo, e quattro sbirri in borghese in una caserma piccola piccola, sotto lo sguardo curioso dei paesani di passaggio.
Ogni tanto telefonate dai compagni e dalle compagne, silenzi interminabili scandivano le ore passate a confermare la nostra identità in maniera ridicola davanti ad un carabiniere tremante perchè gli avevano detto, forse, che noi distruggiamo qualcosa, qualche volta.
Trasportati dal vento sentivamo gli scoppi delle bombe nel poligono, alla faccia nostra in mezzo alle risate sommesse dei celerini ben costretti a farci da guardie, poi le notizie sulle cariche, qualcuno sanguina, qualcuno ci ricorda di quanto sia vigliacca la polizia. Le nostre facce tristi durano poco, gli scoppi non si sentono più e in quel momento una telefonata ci avvisa che alcune ed alcuni sono dentro il poligono e le esercitazioni sono state interrotte. La nostra gioia si alza nell’aria con i nostri pugni. Le telefonate si susseguono, i racconti anche. I nostri stomaci si chiudono perchè costretti ad assistere da lontano alla gioia, perchè oltre che con il nostro cuore sempre presente saremmo voluti essere lì con braccia, corpo e gambe per correre incontro ad una lotta che ci assorbe e che ci ricorda che non siamo quelli dipinti come quelli che distruggono ma che costruiamo giorno per giorno con il nostro sudore, la nostra rabbia e tutta la forza che abbiamo.
Il giorno in cui non distruggemmo nulla ci siamo resi conto di aver costruito tanto con le assemblee, i giri, le chiacchiere, le botte date e ricevute, gli attacchinaggi e tanto altro e nell’amarezza di non esserci stati con il corpo ci resta la gioia infinita di essere stati con il cuore insieme a tutte le compagne ed i compagni a lottare per un’altra porzione di libertà.
Alla fine le bugie che escono dai nemici sono tante e negano ancora una volta la vittoria, ma noi lo sappiamo, e non ci stancheremo di dirlo, che per un giorno abbiamo vinto noi.
A loro le parole che dedichiamo sono sempre le stesse : VOI BASI mentre NOI PIETRE, SORRISI, GIOIA, RABBIA, PAURA, STRICIONI, RISATE, SCONTRI, CORTEI.
VOI GUERRA è vero MA TRIDENT NON SEMPRE, SICURAMENTE IERI NO, NON IL 3 NOVEMBRE.

Alcuni compagni e alcune compagne di Giba

Ringraziamenti per la giornata di lotta storica.

Ringrazio di vero cuore :
Tutti coloro che hanno partecipato alla manifestazione No Trident che si è svolta tra Sant’Anna Arresi e Teulada;
Quelli che per motivi vari non hanno potuto partecipare;
Quelli che sono stati confinati nel comune di Giba;
Le compagne e i compagni della Rete “ No basi né qui né altrove “ con cui da più di un anno condivido manifestazioni, lotte e quant’altro;
Il Comitato studentesco contro l’occupazione militare;
Gli studenti dei vari Licei e istituti vari che hanno partecipato e che sono il nostro futuro;
Gli attivisti del Cagliari social forum sempre presenti anche nei momenti più difficili;
Le donne di tutte le età presenti che sono state la vera forza in più della manifestazione;
Alla nonna che vive a Cabras che è arrivata davanti alle reti del poligono, a cui alcuni poliziotti al blocco de Is Pillonis avevano detto di tornare a casa dai nipotini;
A  Samed un ragazzo di 18 anni con difficoltà deambulatorie che ha fatto tutto il percorso sterrato con me e mia moglie  ( almeno 4 km ) per arrivare davanti alle reti del poligono. Questo ragazzo l’ho ammirato per la sua caparbietà e convinzione delle proprie idee. Bisogna essere orgogliosi di questo ragazzo, credo che abbia tanto da insegnare a quei 4 deficienti “ pro basi “ che ci hanno fischiato all’altezza de Is Pillonis;
Alle manifestanti e ai manifestanti che sono entrati dentro la base sapendo bene ciò a cui andavano incontro. State tranquilli non vi lasceremo soli. Saremo solidali e complici;
Le compagne e i compagni che erano presenti durante il parapiglia che c’è stato davanti alle reti del poligono.  Il tutto guidato dal solito e immancabile vice–questore Rossi, che è riuscito a farmi perdere la mia proverbiale calma.
Infine Bubu il simpatico cane di Angelo che è stata la nostra mascotte nei molti chilometri percorsi.

A.T.
Memorie del 3 novembre
3 Novembre2015 una data che farò fatica a dimenticare, una giornata che rimarrà per sempre nel mio cuore. La giornata iniziò presto per me come credo per tante/i compagne/i ma il tempo scorreva veloce, ed in un batter d’occhio mi trovavo sul pullman, nell’aria si avvertivano emozioni contrastanti, tra cori, battute, discorsi e apprensioni. Il tragitto era ormai agli sgoccioli non sapevamo che benvenuto aspettarci ma ne avevamo qualche idea, e purtroppo le nostre fantasie non hanno tardato a manifestarsi, digos, ros e gli immancabili “ celerini “ si stagliarono dinanzi ai nostri sguardi come un pugno nell’occhio come sempre d’altronde, qualche losco (buffo) figuro iniziò il “travisamento” pensando d’essere invisibile. Telecamere alla mano da una parte e dall’altra iniziano le discussioni, immancabili le chiacchiere a vuoto da parte degli sbirri su democrazia e legalità, ma noi tutti/e sapevamo chi cercavano, volevano quelli che poi vennero sopranominati “i ragazzi di Gibba”, o come venivano apostrofati dalla controparte “I fogli di via”. Quest’ultimi verranno presi dalle grinfie del nemico e portati fisicamente lontani dalle lotte ma non col cuore, non con la mente. Con l’amaro in bocca si parte, un pensiero di rivalsa continuo ormai attanagliava la mia mente mentre con lo zaino in spalla percorrevo la strada per raggiungere il corteo che tempo prima partì dal sit in/trappola per liberare i pullman dalla perquisizione/trappola.
I capoccioni da li iniziano a fumare, non capiscono cosa sia questo sentimento che si manifestava nei volti delle persone e nelle loro pratiche, e si questi omuncoli ormai privi di ragione umana non sanno cos’è la solidarietà. Ho ancora i brividi al pensiero di quel patto che si è andato a stipulare, un patto di complicità sigillato con il bacio dei due striscioni che aprivano le teste dei due cortei contrapposti. A questo punto i questurini sempre più sbigottiti, non capendo l’alleanza tra quelli che loro definiscono “buoni e cattivi ” tentano inutilmente di fermare un corteo che non si è fatto intimidire ne da blocchi stradali ne da infiltrati vari. La svolta arriva davanti ad una strada bianca, una strada che per chi la conosceva palesava la tanto agognata speranza BLOCCARE LA TRIDENT. Una manciata di compagni/e dopo una concitata discussione si lancia all’arrembaggio, non sapendo realmente cosa si potesse trovare davanti, scalpitii agitati risuonavano nello stagno, ci si incoraggiava a vicenda, soprattutto dopo aver appreso che le/i compagne/i si azzuffavano con i soliti infami col casco blu. Il suono delle bombe era sempre più vicino, l’adrenalina saliva, le reti si avvicinavano, in quello che io percepii come un secondo le/i compagne/i erano dentro, mentre fuori si continuava a far ciò che ci riesce meglio, tagliare le reti.
E’ fatta pensavo, abbiamo bloccato la Trident, c’è chi piangeva (ma giurava il contrario) chi si abbracciava, e dopo pochi secondi un solo urlo si stagliò nel cielo, nei nostri cuori, nei nostri ricordi, nella nostra terra, nella storia:” NO WAR NO BORDER NO NATION“. Dopo il rilascio dei prigionieri di guerra il corteo parte per stringersi ai/alle compagni/e che fino a quel momento resistevano alle infami cariche. La celere ci seguiva, ma poi gli toccò passare tra le file dei tanti e delle tante e un coro partì, un coro che non ci stancavamo e non ci stancheremmo mai di scandire :”ODIO LA NATO LA.. LA.. LA..”. Il rientro in pullman fu più rapido del previsto, e il mio pensiero continuava ad andare ai “Ragazzi di Gibba” pensando alla loro triste sorte e che qualcuno se la sarebbe legata al dito, la rabbia contro gli sbirri intendo, ma anche l’invidia verso noi altri. Cari/e compagni/e ci saranno altri momenti per combattere, usando termini della parte ostile “Abbiamo vinto la battaglia non la guerra“.

Un compagno evanescente.
Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.